XXXI CONGRESSO NAZIONALE FNISM

Un’eredita’ irrinunciabile
La laicita’ delle istituzioni
Il rifiuto del comunitarismo
Contro ogni forma di omologazione
La laicita’ della scuola
Un po’ di storia: dall’italia liberale al fascismo
Dallo scontro fra due concezioni totalitarie ad una dialettica conflittuale
La laicita’ della scuola alla luce della costituzione repubblicana
La scuola laica come schole’
Metodi e contenuti della scuola laica

UN'EREDITA' IRRINUNCIABILE

La progressiva secolarizzazione culturale ed il processo di separazione fra religione e morale, religione e politica, trono ed altare, Stato e Chiese, reato e peccato, leggi umane e leggi divine, a partire dall'Umanesimo, dal Rinascimento, dalla Riforma Protestante, dall'Illuminismo, hanno dato vita ai moderni concetti di laicità e di libertà di coscienza e di religione. La laicità si fonda su conquiste irrinunciabili della civiltà umana: la cultura della tolleranza, del rispetto dell'autonomia, della libertà e della responsabilità individuali, della razionalità e della distinzione fra pubblico e privato. Essa non va concepita in termini astrattamente teorici, bensì come prassi concreta. L'atteggiamento laico risulta pertanto connotato in senso morale, legato al comportamento ed alla responsabilità individuali, ed etico, con valenza relazionale e connesso alla dimensione sociale e collettiva. Le caratteristiche fondamentali di tale atteggiamento vanno riscontrate nella costante disponibilità all'ascolto delle posizioni differenti, con le quali ci si pone in un rapporto dialettico ed anche potenzialmente conflittuale, ma mai distruttivo: l'"altro" viene dunque costitutivamente riconosciuto nella sua duplice dimensione di diverso, in quanto caratterizzato dalla propria irriducibile specificità, ed uguale, in quanto portatore dei medesimi diritti di tutti nell'affermare tale specificità. La laicità è in primo luogo difesa della libertà di pensiero, ma non è una posizione debole e meramente difensiva ed in essa il principio di tolleranza e del riconoscimento delle diversità si sposa con l'intransigente rifiuto delle posizioni che tale tolleranza e tale riconoscimento negano o contrastano nei fatti. La laicità non è un sistema di valori rigido, né una ideologia, in opposizione ad altri sistemi di valori o ideologie, bensì libero confronto fra idee e valori; essa è al tempo stesso un valore ed un metodo capace di delimitare uno spazio pubblico, neutro e comune a tutti i cittadini di ogni credo religioso o morale, che accoglie in sé, su un piano di uguaglianza, il libero estrinsecarsi di qualsiasi professione di fede e di qualsivoglia concezione del mondo, assicurando la libera, civile e pacifica convivenza a tutti i cittadini, siano essi credenti, atei, agnostici, razionalisti, scettici, indifferenti od altro. La laicità, antitesi del dogmatismo, afferma la libera ricerca delle molteplici verità relative, attraverso l'esame critico e la discussione.

LA LAICITA' DELLE ISTITUZIONI

Tali affermazioni di principio, che affondano in ultima istanza le loro radici nella tradizione illuministica quale parametro della modernità, devono oggi essere adattate e riformulate nelle loro concrete modalità di applicazione alla luce delle novità dirompenti che caratterizzano per molti versi la situazione contemporanea in termini di post-modernità. Si pensi, in particolare, ai grandi fenomeni migratori, alla globalizzazione economica, all'emergenza ambientale. In tale contesto, fra l'altro, la laicità si trova di fronte ad una serie di paradossi che la obbligano a ripensare profondamente se stessa. Gli imponenti spostamenti di popolazioni, con i conseguenti riassestamenti demografici e culturali, comportano la necessità del dialogo interculturale, e più specificatamente di un luogo in cui tale dialogo si possa effettivamente realizzare. E il luogo del dialogo non può che essere la laicità delle pubbliche istituzioni, quali punti di riferimento in cui tutti i cittadini si possano ugualmente riconoscere al di là delle legittime appartenenze (o non appartenenze) etniche, culturali, religiose o di altra natura. La dimensione pubblica deve essere per definizione laica, in quanto implica il riconoscimento di uno spazio comune che garantisca libertà e diritti per ciascuno e per tutti, entro il quale gli individui ed i gruppi sociali trovino possibilità di libere relazioni, senza interferenze reciproche lesive. L'atteggiamento laico implica che i soggetti pubblici rinuncino concordemente ad applicare alla sfera collettiva, pubblica e politica i propri principi e verità religiosi ed i propri valori etici assoluti e non negoziabili, potenzialmente confliggenti con verità religiose e valori etici assoluti altrui, quando dovessero limitare le altrui libertà di espressione o di azione, ed a volerli imporre a tutti i cittadini in forza di legge. Lo Stato laico è l'opposto dello Stato confessionale (o dello Stato etico), cioè dello Stato che assume come propria una determinata religione (o ideologia) e ne privilegia i fedeli rispetto ai seguaci di altre religioni (o ideologie). Lo Stato laico si fonda su una concezione non sacrale del potere politico, come attività autonoma rispetto alle confessioni religiose; le quali tuttavia, collocate fra loro su uno stesso piano di uguale libertà, possono esercitare la loro attività. Lo Stato laico non professa pertanto una ideologia antireligiosa, irreligiosa o atea: semplicemente esso non ne professa alcuna. In quanto garantisce a tutte le confessioni ed a tutti i cittadini libertà di religione e di culto, senza istituire nei loro confronti né un sistema di privilegi, né un sistema di controlli, lo Stato laico non tutela soltanto l'autonomia del potere civile dal potere religioso, ma egualmente l'autonomia delle organizzazioni religiose rispetto al potere temporale, che non può imporre ai cittadini alcuna professione di ortodossia confessionale (la "religione di Stato"). La laicità dello Stato tutela anche tutte le confessioni religiose (maggioritarie o minoritarie), che trovano nello Stato laico, e solo in esso, le garanzie certe per l'esercizio della libertà religiosa; essa risulta pertanto incompatibile con l'esistenza di Concordati che privilegino una o più confessioni religiose a scapito delle altre e delle diverse concezioni del mondo.

IL RIFIUTO DEL COMUNITARISMO

Da un punto di vista laico, i diritti che devono essere garantiti sono certo anche quelli delle minoranze contro il rischio dei tentativi egemonici o forzatamente assimilatori della cultura dominante, ma sono soprattutto quelli degli individui. L'atteggiamento laico comporta quindi certamente la difesa della pluralità delle culture, purché ciò non si traduca nella creazione di un pluralismo a compartimenti stagni, nel quale le differenti tradizioni coesistano le une accanto alle altre senza dialogare fra di loro né accettare le sfide della modernità. Una tale situazione, fra l'altro, si tradurrebbe in una nuova forma di dittatura sugli individui, ognuno dei quali si troverebbe limitato nei propri diritti da una rigida appartenenza comunitaria. Al contrario, il riconoscimento e la valorizzazione delle differenze culturali, con cui i fenomeni migratori ci obbligano a confrontarci, possono acquisire una valenza positiva solamente se tali differenze vengono vissute in maniera non rigida, se l'appartenenza o la non appartenenza ad una comunità vengono pienamente ricondotte alla libera scelta degli individui, ognuno dei quali sia concepito non già come un esemplare particolare di una determinata identità culturale, bensì come un nodo in cui si intrecciano identità molteplici ed il cui diritto fondamentale sia proprio quello alla trasformazione culturale. Le diverse comunità di individui, liberamente costituite e garantite entro i limiti costituzionali, non devono assumere funzioni prevaricatrici sul patto di civile convivenza, garantito dalla legge, secondo il quale i diritti dell'individuo devono trovare adeguata tutela e protezione anche nell'ambito e nei confronti delle stesse comunità di appartenenza, siano esse familiari, etniche, linguistiche, religiose o ideologiche. Il comunitarismo è un fenomeno rilevante nella società contemporanea e si evidenzia quando, nel rapporto tra spazio pubblico e dimensione privata, il ruolo della comunità tende per un verso a svalutare o negare la collocazione primaria e autonoma degli individui nel quadro sociale collettivo; per l'altro a privilegiare, anche rigidamente, una identità comunitaria degli individui - aderenti per nascita, per scelta o tradizione - sottoponendoli a forme di conformismo di gruppo contrastanti con i principi di cittadinanza e di lealtà costituzionale. Sotto profili diversi - etnici o politici, culturali o religiosi - le tendenze comunitaristiche presentano perciò in vario modo aspetti illiberali, non laici, fino ad allentare il vincolo costituzionale proprio delle società aperte di libera e tollerante democrazia pluralista.

CONTRO OGNI FORMA DI OMOLOGAZIONE

Il ruolo dello Stato e della scuola pubblica laica dovrà essere allora quello di favorire gli incontri e le ibridazioni, a costo di indebolire le appartenenze identitarie e familiste degli allievi, ma con l'enorme guadagno della possibilità da parte loro di acquisire un'effettiva ed autonoma identità individuale e di maturare un senso della cittadinanza mondiale. Né, d'altra parte, la laicità si deve trasformare in una sorta di neutralità nei confronti delle differenti culture: non tutte le culture né tutti i contenuti delle differenti tradizioni sono ugualmente accettabili. Essere laici non significa rinunciare ad esprimere giudizi di valore, bensì avere la capacità di relativizzare il proprio punto di vista, collocarlo in mezzo ai punti di vista altrui, insomma assumere un atteggiamento critico nei confronti delle proprie e della altrui tradizioni e convinzioni, e vedere nelle diversità di queste ultime non già un inconveniente che deve essere nella migliore delle ipotesi tollerato, bensì una ricchezza potenziale che può essere valorizzata. Se l'atteggiamento laico rifiuta le identità "forti" e tendenzialmente integraliste a favore di identità "deboli" e dialoganti, non per questo esso accetta l'appiattimento politico e culturale indotto dalla globalizzazione economica. Come è stato ampiamente riconosciuto, i particolarismi e gli estremismi integralistici sono per molti versi una paradossale reazione generata dalle inquietudini connesse ai rischi di omogeneizzazione ai paradigmi culturali, sociali ed economici dominanti. Una reale difesa della libertà degli individui deve passare attraverso il rifiuto di entrambe queste prospettive, l'una e l'altra miranti all'omologazione dei singoli ora ai valori dettati dalle rigide appartenenze comunitarie, ora alla cultura ed agli interessi dominanti nel mondo della globalizzazione neoliberista. Il rischio da evitare è che questo rifiuto si configuri in termini esclusivamente negativi e tendenzialmente passatistici. La prospettiva laica non può rinchiudersi nella mera difesa del passato o di un esistente ormai superato; essa deve al contrario accettare la sfida delle trasformazioni in atto, cercando di orientarle in una direzione diversa da quella che vorrebbero i vari integralismi o l'esclusiva logica (o mito) del libero mercato. E ciò vale anche e soprattutto per la scuola: per citare solo un esempio, la diffusione dell'informatica nel sistema dell'istruzione non va demonizzato, né accettato come un modo per produrre meri esecutori esclusivamente funzionali agli interessi economici dominanti, bensì nella prospettiva di una riduzione delle attività più ripetitive che lasci spazio alla creatività ed alla riflessione critica.

LA LAICITA' DELLA SCUOLA

Nell'ambito delle istituzioni un ruolo particolarmente significativo deve essere riconosciuto alla scuola pubblica, alla scuola, cioè, istituita dallo Stato o dalle sue articolazioni. Essa non deve essere concepita tanto come una scuola dello Stato, quanto piuttosto come una scuola che lo Stato si incarica di porre in essere per riconsegnarla immediatamente alla società civile, creando un territorio all'interno del quale le differenti componenti di quella si possano liberamente incontrare e confrontare. La scuola pubblica, dunque, deve essere il destinatario esclusivo degli sforzi economici ed organizzativi dello Stato: solo in questa, infatti, si può realizzare quella libertà che qualcuno vorrebbe attuare attraverso il privilegiamento ed il finanziamento degli istituti privati e perlopiù confessionali. A tale proposito, è opportuno chiarire un equivoco: la scuola non esiste in primo luogo e fondamentalmente né per coloro che vi lavorano, né per le famiglie degli allievi, bensì per gli studenti. E' a loro, dunque, che deve essere garantita la massima libertà di apprendimento. E tale libertà non si identifica affatto con la possibilità di scelta, da parte delle famiglie, della scuola che meglio corrisponde ai propri presupposti ideologici e culturali, perpetuando e consolidando così le identità che già sono state imposte ai bambini nei primi anni di vita. La libertà dello studente deve essere tutelata anche nei confronti di tali pretese familistiche, consentendogli di incontrare prospettive culturali differenti in un ambiente che favorisca il confronto; e tale libertà non è certo garantita dal pluralismo delle scuole confessionali o ideologicamente orientate, bensì dal pluralismo all'interno di una scuola pubblica e laica. La possibilità di istituire scuole private è costituzionalmente garantita, ma gli sforzi dello Stato devono essere tutti orientati al potenziamento del sistema di istruzione da esso stesso istituito.

UN PO' DI STORIA: DALL'ITALIA LIBERALE AL FASCISMO

Nell'Italia risorgimentale, lo scontro è tra scuola statale e scuola privata, ma anche tra diversi orientamenti educativi, tra diverse identità culturali. La scuola di Stato s'impone nello scontro con la Chiesa, ma apre subito la lotta su quale cultura lo Stato debba promuovere attraverso la scuola. Nel 1877, la Sinistra rende effettivo l'obbligo scolastico e sostituisce l'insegnamento della religione con quello delle "prime nozioni dei doveri dell'uomo e del cittadino". L'educazione statale, animata da spirito risorgimentale e dalla filosofia positivistica, entra in conflitto con la pretesa cattolica del monopolio educativo. Nel 1929, il 7 gennaio viene imposta l'adozione del "testo unico di Stato" per la scuola elementare pubblica e privata. Il 28 agosto 1931 arriva l'obbligo per i docenti universitari di giurare fedeltà "al re, ai suoi reali successori e al regime fascista". Il controllo fascista della scuola sembra completo. Ma nel febbraio 1929 è stata firmata la pace tra Stato e Chiesa e l'antico conflitto tra laici e cattolici esplode in termini nuovi e sorprendenti: è la resa dei conti tra due parti a vocazione educativa totalitaria. Il 13 maggio, alla Camera, Mussolini chiarisce la sua interpretazione del Concordato: "In questo campo siamo intrattabili. Nostro dev'essere l'insegnamento (...) Lo Stato fascista rivendica in pieno il suo carattere di eticità: è cattolico, ma è fascista, anzi soprattutto esclusivamente, essenzialmente fascista". Il papa, in una lettera ufficiale al cardinal Gasparri, si lamenta delle parole del Duce e precisa: "In uno Stato cattolico libertà di coscienza e di discussione devono intendersi e praticarsi secondo la dottrina e la legge cattolica. E deve anche per logica necessità essere riconosciuto che il pieno e perfetto mandato educativo non spetta allo Stato, ma alla Chiesa". E' evidente in questo scontro che il totalitarismo non è l'imporsi del tutto sulle parti, ma l'imporsi di una parte, la Chiesa o il partito fascista, sul tutto. Per Mussolini lo Stato è fascista, per il papa è cattolico. Hegel aveva collocato lo Stato al di sopra dell'istituzione familiare e delle istituzioni della società civile. Il fascismo usa la teoria hegeliana dello Stato etico per imporre allo Stato l'etica e l'indirizzo educativo di quella parte della società civile che si è impadronita dello Stato. Il papa non si serve di Hegel, naturalmente, ma l'atteggiamento totalitario è lo stesso.

DALLO SCONTRO FRA DUE CONCEZIONI TOTALITARIE AD UNA DIALETTICA CONFLITTUALE

Il 26 maggio a Roma, con molta solennità e con un discorso di Mussolini a sostegno della teoria gentiliana dello Stato, si apre il congresso nazionale di filosofia. Lo scontro tra laici, capeggiati da Giovanni Gentile e cattolici, capeggiati da Agostino Gemelli esplode e saltano tutte le mediazioni. Si parla del rapporto dello Stato con la filosofia e con la religione e del loro insegnamento. Gentile, nella sua relazione "La filosofia e lo Stato" chiarisce che lo Stato "non è amorale e non è agnostico", che "ha diritto ad insegnare perché ha una sua dottrina, sa il fine della nazione, sa il valore di questo fine". Ma la dottrina dello Stato non ha una verità definita una volta per sempre: "Il carattere critico che compete alla dottrina dello Stato è lo stesso carattere critico essenziale al pensiero, e cioè alla filosofia". Lo Stato si identifica con la filosofia, con il pensiero critico. La filosofia e non la religione, che è pensiero acritico, verità irrigidita, deve costituire la base e il coronamento dell'insegnamento. I cattolici chiedono di estendere l'insegnamento della religione cattolica alla scuola media. Alcuni estremisti lo vogliono anche all'università (la riforma Gentile lo limitava alle elementari). Ma, il minimo che chiedono è che l'insegnamento della filosofia, nelle medie superiori, sia ispirato al magistero della Chiesa, in base alla lettera dell'art. 36 del Concordato. Augusto Guzzo, allora gentiliano, spiega che le leggi vigenti garantiscono "a ciascun professore il pieno diritto di insegnare secondo la propria coscienza". Aggiunge che il solo pensare che lo Stato e la Chiesa siano disposti a "comprimere la libertà di coscienza, e massime la libertà d'indagine speculativa in Italia...è già un gratuito insulto che si fa alla Chiesa e allo Stato". Ma i cattolici vogliono proprio ciò che Guzzo considera insultante attribuire loro. Lo dice a chiare lettere Agostino Gemelli: "Siamo nella scuola pubblica, di uno Stato che ha firmato un Concordato in cui si riconosce che fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica è la dottrina cattolica secondo la tradizione cattolica. E' evidente dunque che in questa scuola il professore, se è idealista o positivista non conta, non ha da insegnare quel sistema filosofico nella verità del quale crede lui, ossia non ha da insegnare una filosofia negatrice e distruggitrice del Cristianesimo, ma invece, in quanto funzionario dello Stato e di uno Stato che si proclama cattolico e che solennemente firma un Trattato in cui riconosce il fondamento cattolico dell'istruzione, ha il dovere di insegnare una filosofia che sia in armonia con l'insegnamento della religione: insomma ha da insegnare cattolicamente". Aggiunge che "l'idealismo non può essere insegnato nella scuola media pubblica senza violare la coscienza dei giovani e senza spezzare il Concordato che lo Stato ha firmato con la Santa Sede". Precisa che "nulla vi è di meno religioso, di meno cristiano del pensiero di Gentile e degli idealisti". La "beata concordia" che Gemelli esige fa saltare ogni possibilità di mediazione. La conclusione di Gentile è una dichiarazione di guerra: "Nella nuova scuola italiana regnerà la guerra e non la pace....Ma sarà un male? La vita non è essa tutta una concordia discors, un sistema di forze diverse, il cui risultato è una diagonale, e la cui armonia è una sintesi?" Due concezioni di scuola di Stato si scontrano e si riconoscono inconciliabili. La filosofia di regime si presenta come la Filosofia stessa, libera e critica, incardinata sulla libertà di coscienza, ma si scopre in conflitto con la cultura religiosa cattolica, che ha contribuito a rilanciare in funzione antipositivistica e nella convinzione di poterla tenere sotto tutela, con la "superiorità" della propria posizione nella vita dello Spirito (Arte, Religione e Filosofia) e con la concessione di forti privilegi. Si rende conto di non poterla assorbire in una propria sintesi. Deve accettare una dialettica aperta e conflittuale. La filosofia di Gentile, presentatasi al congresso come la Filosofia, la filosofia dello Stato, ne esce come una filosofia, qual era. Il Concordato ha riconosciuto un altro potere, che tratta con lo Stato da pari a pari. La filosofia di questo potere esige di essere riconosciuta e conduce la sua battaglia con baldanza.

LA LAICITA' DELLA SCUOLA ALLA LUCE DELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA

Con la fine del fascismo e della monarchia sabauda, la Costituzione Italiana prende il posto dello Statuto Albertino. La religione cattolica non è più religione dello Stato. La Stato non ha più una sua religione, non ha più una sua filosofia, non ha più una sua pedagogia, ma apre scuole d'ogni ordine e grado nelle quali l'insegnamento è libero nel rispetto delle coscienze. Lo Stato non ha più un'identità culturale. Deve assicurare libertà alla cultura, non imporne una. Deve garantire uno spazio educativo pubblico, di tutti e di nessuno. Deve rimuovere discriminazioni nell'accesso ai banchi scolastici e controllare l'accesso alla cattedra con esami di competenza disciplinare e con concorsi di merito, fissare programmi nazionali di studio e controllarne il funzionamento con esami di Stato. Deve stabilire, con i programmi scolastici nazionali, i confini di un territorio culturale da praticare nella libertà garantita dall'art. 33. E' il territorio culturale comune a tenere culturalmente unito un paese democratico, non l'identità culturale, che è comune solo nei paesi totalitari e nelle società chiuse. Esso ha una funzione analoga a quella della lingua comune. Sul territorio culturale comune si può realizzare il libero confronto delle diverse identità culturali nel rispetto delle persone. Oggi si tende, per l'egemonia culturale del modello aziendale, a ridurre la libertà a concorrenza. Ma, libertà e concorrenza non sono sinonimi in campo scolastico. La concorrenza può avvenire anche tra sistemi scolastici non liberi al loro interno. La libertà riguarda le persone e le loro coscienze, in tutto il percorso formativo. Non può ridursi a scelta tra scuole diverse. La scuola privata può competere con quella pubblica in abilità concorrenziale non in libertà educativa. Essendo privata è soggetta a chi la possiede e ne determina i limiti e le finalità, il progetto educativo. Se una scuola privata è veramente libera, deve questa libertà alla gratuita magnanimità di chi n'è proprietario ma non ha garanzie istituzionali di libertà, se non quelle imposte dalla legge. La sua resta una libertà precaria. Se la scuola statale difetta di libertà, è per patologia, per difetto di coscienza dello Stato. Non recupera libertà entrando in competizione con le scuole private, ma adeguandosi alla lettera della Costituzione. La scuola di Stato è laica, non perché lo Stato abbia una specifica identità culturale, ma perché è di tutti e di nessuno. Lo Stato non ha filosofia né identità culturale, ma è garanzia di libertà filosofica e di libero confronto tra le diverse identità culturali presenti al suo interno. La Costituzione, a differenza della filosofia di Gentile, non affida allo Stato una verità, dogmatica o critica, assoluta o relativa, unica o plurale, forte o debole, da scriversi con la maiuscola o con la minuscola, da affermare o da negare. Lo Stato costituzionale non deve mettersi sulla strada della Verità o delle verità, ma garantire su di essa la libera circolazione nel rispetto delle persone. Verità di Stato e libertà di coscienza non sono compatibili. Non basta che la verità di Stato diventi critica, relativa o plurale. Deve cedere alla libertà di pensiero e d'espressione. Sono le coscienze che possono attribuire carattere assoluto o relativo alla verità. Non può farlo lo Stato. Difendere il carattere statale della scuola di Stato è, quindi, il modo migliore di battersi per la laicità della scuola. In quanto garante del diritto di tutti alla pari dignità e uguaglianza davanti alla legge, senza discriminazioni (art. 3) lo Stato deve essere all'altezza della sua necessaria universalità giuridica. La Costituzione sottrae la scuola alla pressione culturale soffocante delle forze della società civile, impone un territorio culturale da praticare in libertà e nel rispetto delle persone. Offre all'utopia umanistica un sostegno giuridico. Persa la vocazione educativa totalitaria, sconfitta l'idea di una pedagogia nazionale, di un progetto educativo statale, lo Stato può con i programmi nazionali mantenere unito il territorio culturale del paese e garantire con la libertà d'insegnamento il libero confronto culturale. Sono impegni che non comportano grandi apparati burocratici, ma chiare indicazioni di legge conformi al dettato costituzionale. Lo Stato può, anzi, alleggerirsi, con benefici effetti, degli apparati dell'assistenzialismo didattico e restituire la didattica al libero confronto dei docenti. La laicità è solidale con il senso costituzionale dello Stato. Torniamo alla Costituzione!

LA SCUOLA LAICA COME SCHOLE'

La scuola non deve essere, come per troppo tempo è stato e come per molti versi continua ad essere, un mondo isolato dal contesto e con tendenze autoreferenziali, dove le conoscenze in esso acquisite rischiano di servire solamente all'interno della stessa istituzione. Ma il rimedio a tale situazione non può e non deve essere il mero appiattimento sugli interessi del mercato, anche e soprattutto se inteso in senso grettamente localistico. E' necessario mantenere la dimensione della scholé, di uno spazio che, pur in stretta e vitale connessione con il mondo esterno, si caratterizzi per una riflessione critica su di esso, mantenendo quella distanza che consenta di sottrarsi alla logica mercantile del profitto, del lavoro e dell'urgenza: si tratterà della rivalutazione di una sorta di "anacronismo" ed "inattualità", di un paradossale e positivamente provocatorio elogio della lentezza, ma anche del rapporto faccia a faccia e della lettura silenziosa, che non neghi l'interazione, ma rifiuti la confusione fra formazione ed addestramento, gratuità e mercato, pubblico, privato e sociale. Da questo punto di vista, deve essere combattuta la tendenza alla differenziazione precoce dei percorsi formativi che non consente a tutti di acquisire una formazione culturale di base adeguata alla complessità dell'epoca che stiamo vivendo. E ciò non solo in funzione di una consapevole formazione alla cittadinanza mondiale, ma anche tenendo conto che è oggi lo stesso sistema produttivo a richiedere solide conoscenze e competenze di base facilmente aggiornabili e ciclicamente completabili, piuttosto che professionalità segmentate e rapidamente obsolescenti: un bell'esempio, questo, di come si possano individuare concreti momenti di contatto e convergenza fra il diritto degli individui ad una libera costruzione del sé e le reali ed ineludibili esigenze del mondo produttivo. In questo contesto, è necessario salvaguardare all'interno di ogni percorso formativo la presenza di almeno qualche elemento di riflessione puramente teoretica, tratto ad esempio dagli ambiti della filosofia, della matematica o della cosmologia, in funzione di un "eccesso culturale" al tempo stesso sovversivo, ma anche potenzialmente produttivo ed economico, sia pure in un modo differente rispetto alla logica del puro mercato.

METODI E CONTENUTI DELLA SCUOLA LAICA

Quali potranno essere, in concreto, i metodi ed i contenuti di una scuola laica potenziata e rinnovata, in un'epoca in cui essa deve confrontarsi con altri mezzi ben più potenti di trasmissione del sapere? Procedendo per cenni, dal punto di vista metodologico dovrebbero essere rivalutati l'idea del laboratorio ed il ruolo dell'insegnante quale mediatore culturale. Il laboratorio, caratterizzato dall'intreccio fra sapere e saper fare, gioco e simulazione in un contesto semplificato e "protetto" rispetto alla complessità ed alla drammatica urgenza delle situazioni reali; uno spazio, comunque, dove non si insegnino saperi definitivamente costituiti una volta per tutte, ma in cui interrogare sempre, senza farsi spaventare dall'assurdità delle domande, in cui si insegnino incertezze, dubbi e senso dei limiti del possibile progresso delle conoscenze umane, nella convinzione che una testa ben fatta è sempre da preferirsi ad una testa ben piena. L'insegnante, come figura autorevole che agevola l'incontro fra identità individuali e culturali altrimenti separate e non comunicanti, in un contesto in cui l'istruzione pubblica, pur non restandovi estranea, non sia succuba dell'educazione famigliare e familistica. E per questo modello di insegnante le normative contrattuali dovrebbero prevedere uno spazio per la progettazione, la ricerca e lo scambio culturale. Dal punto di vista dei contenuti, superando una rigida divisione delle materie, si potrebbe pensare ad un approccio transdisciplinare a tematiche quali il rapporto nord-sud del mondo, i diritti, la pace, la fenomenologia religiosa purché affrontata laicamente nella sua pluralità; infine, quasi quale paradigma delle tematiche complesse, l'emergenza ambientale. Quest'ultimo punto è poi particolarmente significativo, in quanto il sapere dovrà configurarsi sempre più come "ambientalista"; e ciò in molteplici sensi. Nel tentativo di riproporre la connessione fra scienza e umanesimo, bisognerà abituarsi a considerare che la natura non è un semplice strumento nelle mani dell'uomo e che la stessa storia dell'umanità assume un senso solo se inserita in quella della natura. Una scuola laica potrà avere allora anche la funzione di dare voce ai dubbi ormai ampiamente diffusi, sia nelle società avanzate che in quelle dei paesi in via di sviluppo, sulle conseguenze, tanto strettamente ecologiche che etiche e politiche, del modello economico neoliberista e dell'attuale modo prevalente di concepire il rapporto fra uomo e natura. La scuola pubblica, nella sua vigile e critica "presa di distanza dal reale", zona franca dal consumismo materiale e mediatico, potrebbe diventare quasi il paradigma di un modello alternativo. In essa si potrebbe tornare a spostare l'attenzione dai segmenti di conoscenza al quadro complessivo ed a valorizzare la creatività sottoponendola al vaglio critico della ragione. Da questo punto di vista è necessario combattere le attuali tendenze all'eccessivo interesse per gli aspetti di management dell'istituzione scolastica e per la proliferazione di progetti segmentati e certificabili, che troppo spesso vanno a discapito della necessaria sedimentazione del sapere in curricoli lunghi lenti e sistematici. Ma il rinnovamento della scuola non passa esclusivamente attraverso una rivisitazione dei contenuti, delle competenze e delle metodologie: se si assume un atteggiamento "ambientalista" si dovrà anche - e non è un aspetto marginale - prestare attenzione al contesto fisico del fare scuola, sulle strutture che condizionano materialmente la vita scolastica.